Ricordo bene quando a poche ore dalla nascita mi fu prospettata una condizione di alterazione genetica e di malattia: quel bimbo era "diverso" dagli altri - dicevano i dottori - e per la prima volta nella mia vita quella parola mi attraversava ferendomi come una lama e trapassandomi il cuore. Nei primi anni di Tommaso è toccato anche a me, come a tutte le mamme di bimbi con disabilità, attraversare quella tempesta di sentimenti contrastanti e di dolore. Le giornate scandite da bollettini medici, esami, ricoveri, valutazioni, riabilitazioni, farmaci. Diagnosi proclamate come sentenze: “non potrà, non farà, non riuscirà.” Ho amato mio figlio di un amore infinito sin dal primo istante, ma non ho timore a dire che spesso ho avuto la sensazione di aver creato un figlio “difettoso”. Volevo un bimbo che "funzionasse": per lui prima di tutto e per mettere a tacere il senso di colpa che provavo a causa di quel cromosoma in più.