“Si dice che a volte il destino sia una maschera per la colpa. Ci raccontiamo che le cose non potevano che andare in quella maniera per giustificare la nostra incapacità di farle andare in modo diverso.

Per un genitore, però, è spesso vero il contrario: è la colpa a essere una maschera per il destino. La usiamo per ricondurre l’accaduta ad una ragione. La colpa è una consolazione, ci permette di allontanare l’idea spaventosa che le cose siano proprio ciò che sembrano, ci consente di credere a una causa scatenante, a una responsabilità specifica, al fatto che avremmo potuto fare una differenza nelle vite di chi amiamo, se solo…”

(“La neve in fondo al mare” Matteo Bussola)

Questa frase mi ha centrata come un pugno rabbioso in pieno viso.

Mi ha sbattuto in faccia una certa verità.

Ha fatto da specchio alle mie emozioni e ai miei pensieri più nascosti.

Il senso di colpa è uno degli elementi più fedeli nella nostra vita. Non ci abbandona mai, non si allontana. Come un rumore di sottofondo a cui ad un certo punto ti abitui e ti sembra di non sentirlo più.

Invece lui è sempre lì, sempre pronto, anche in una bella giornata di sole, anche al lavoro, anche in vacanza. Anche quando non ci si distacca un momento dalla cura del proprio figlio con disabilità. Quando si passano notti insonni, quando si fanno i salti mortali, quando si trascorre gran parte del proprio tempo libero alla ricerca di ciò che potrebbe aiutarlo di più, meglio, in modo più efficace.

“Mi sento in colpa per non aver trovato mesi fa questo medico”.

“Non mi do pace nel non aver capito prima quanto stesse male”.

“Se fossi stata più forte, avrei ottenuto ciò che gli spettava di diritto”.

“Se avessi passato più tempo con lei, sarebbe stata più serena”.

“Se l’avessi abituato prima ad addormentarsi senza di me, ora sarebbe più facile”.

Ogni momento è buono per sentirsi in colpa per non aver fatto abbastanza o nel modo giusto.

La verità è che la vita accade. Nonostante noi. A prescindere da noi.

La verità è che ciascun figlio è unico, diverso da tutti, nonostante sia etichettato con una diagnosi che riguarda tanti altri.

La verità è che nessun medico, nessun terapista, nessun insegnante, nessun educatore avrà la capacità divinatoria di darci risposte certe, medicine miracolose, soluzioni veloci.

La verità è che ci vuole tempo, tanto tempo per conoscere nostro figlio e poi per conoscere la sua disabilità. E solo quel tempo lungo, quelle migliaia di ore trascorse insieme, ci permetteranno di trovare delle buone strade da percorrere, nel rispetto della sua persona, dei suoi desideri, dei suoi bisogni.

La verità è che la vita accade e non è sotto il nostro controllo. E mentre siamo intenti a cercare di tenere tutto a bada, ecco che tutto ci sfugge di nuovo.

La verità è che vedere soffrire un figlio, vederlo faticare in ogni gesto quotidiano, è qualcosa di insopportabile. Che ti ammazza di frustrazione, di impotenza, di rabbie e di tristezze.

Solo che quelle caratteristiche, quelle peculiarità, così come quella sofferenza, quella fatica, spesso non dipendono da noi. Sono state date ai nostri figli come bagaglio personale, tutto da scoprire, da vivere, da imparare, da inventare.

Ecco che allora i nostri figli ci chiedono di cambiare sguardo su di loro: accettare l’inevitabilità di ciò che la vita ha loro dato; smetterla di torturarci con colpe che non abbiamo; accompagnarli, condividendo - ogni giorno - il meglio di ciò che possiamo fare insieme.

Ecco che il mito del Titano Atlante, condannato da Zeus a reggere all’infinito il peso della volta celeste sulle spalle, ci fa interrogare: da una parte essere “soli a portare il peso del mondo”, caricarsi di ogni responsabilità e colpa (“se non io, chi altri?”); dall’altra constatare ogni mattina quanto sarà impossibile fare tutto e fare tutto da soli.

E proprio dal Mito ci arriva una soluzione possibile: non stare schiacciati dalla solitudine e dalla necessità, ma trovare qualcuno che possa aiutarci nel nostro compito. Perdonarci di non essere Eroi e accettare aiuto.

Così come per Atlante ci furono Ercole ed Atena, così per le nostre famiglie, ARIA c’è.


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