Cercando tra i sinonimi di rabbia, troviamo tante parole che la descrivono: furia, ira, sdegno, furore, collera, accanimento, bile, veleno, astio, rancore, violenza, forza incontrollata, disappunto, rammarico, dispiacere.

Ma anche agitazione, irritazione, frustrazione, indignazione.


La psicologia definisce la rabbia come una risposta naturale a situazioni percepite come minacciose o ingiuste, un forte segnale che ci indica che qualcosa non sta andando come ce lo aspettavamo.

La rabbia ha una funzione arcaica che permette di “accendere” l’istinto di difendersi.

Così come è una funzione sofisticata che ci permette di rispondere ad un’ingiustizia o alla percezione della violazione dei nostri diritti.


Tanti modi per provare a descrivere una delle emozioni più diffuse e sperimentate da ciascuna persona, ma in modo molto più intenso e continuo là dov’è presente la disabilità.

Perché?

Perché ogni giorno, in molte situazioni, luoghi, esperienze, le persone con disabilità e le loro famiglie percepiscono di doversi proteggere e difendere: dai pregiudizi, da persone respingenti, da contesti che dovrebbero essere a tutela delle fragilità e che invece usano il loro potere arrogante proprio verso i più deboli.

Vivono grandi frustrazioni nel sentirsi non volute, non considerate, non incluse: il ristorante dove la disabilità non entra, il treno dove la disabilità non sale, la scuola dove la classe va in gita e la disabilità rimane a casa.

Vivono veri e propri “rigurgiti di bile” ogni volta che vengono trattati come “utenti”, “numeri”, “malati” o addirittura “oggetti”, senza per nulla considerare che un contributo economico tagliato, un servizio sospeso, un diritto negato, una soluzione non trovata, nelle nostre famiglie non generano solo rabbia, ma vere e proprie emergenze e conseguente disperazione.


Sono quotidiane le telefonate e i messaggi dei genitori che ci raccontano la loro rabbia:

“vorrei buttare una bomba”; “non so se urlare o piangere”; “ho male al fegato”; “mi viene da vomitare dal nervoso”; …

E sono proprio di oggi le frasi di una mamma che ci ha chiamata arrabbiata:

“E’ un bambino mica è una scimmia che in automatico gioca, sempre e comunque, anche in una stanza bollente alle 2 del pomeriggio!! È autistico, non una scimmia ammaestrata! Trattarlo così è un insulto alla sua intelligenza.”


Vero, a volte pare che noi caregivers si abbia una reazione esagerata.

A volte non ci vestiamo di parole gentili ed eleganti.

A volte ci dimentichiamo che il mondo delle relazioni chiede il politically correct.

Quando arriviamo a tanto è perché abbiamo già sorriso di cortesia tante volte, abbiamo ingoiato frustrazione a palate, abbiamo serrato la bocca in più di un’occasione.

Vorrete scusarci dunque se quando abbiamo il fegato esploso, il cuore a pezzi e lo sfinimento dato dalle battaglie quotidiane, non appariamo mansueti e docili come agnellini.


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